Il carnevale storico: La “Zeza” e le tradizioni di Gaeta

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GAETA. LA STORIA DEL CARNEVALE DEI TEMPI ANDATI …

CARNEVALE:

Sant’Antuone màschere e suone. S. Antonio abate (17 gennaio) porta Carnevale, il noto periodo della baldoria atteso dai giovani che hanno voglia di divertirsi. A cominciare da questo giorno, la domenica, se il tempo è discreto, s’incontrano le prime mascherine. I bambini delle famiglie borghesi vestiti da fatine, gnomi, damine, turchi, cinesini, passeggiano coi genitori pavoneggiandosi nelle graziose acconciature. I figli dei popolani, invece, se la vedono per conto loro, indossando abiti e scarpe vecchie dei genitori nei quali nuotano dentro, col viso nascosto dietro una maschera di cartapesta e una enorme gobba dietro la schiena. Chi non ha i soldi per comperare la maschera, si tinge il volto con il nerofumo di un turacciolo bruciato.

Nelle settimane successive compaiono parecchi giovani, a gruppi o isolati, disposti a divertirsi con scherzi e burle, creando l’autentica atmosfera del Carnevale, in cui ogni scherzo vale. Le strade principali sono la loro passerella e molti ragazzini si accodano accrescendo l’allegria e la confu­sione.

Le maschere più caratteristiche sono la vecchiaZi ‘ Nicole, il pescatore, la scaletta, la spaghettata.

La vecchia Zi’ Nicole è una strana maschera che lascia perpi esso chi la vede la prima volta sino a che non capisce il trucco. È una vecchia che porta un uomo a cavalcioni, ma in realtà si tratta di una sola persona, sempre un uomo, che tiene legato davanti all’addome il busto finto curvo in avanti di una vecchia grinzosa. Indossa una giacca e una gonna: due gambe finte, rette dalle mani delle braccia finte della vecchia, gli scendono dai fianchi. Insomma il busto della vecchia cammina con le gambe vere dell’uomo e l’uomo con le gambe finte sta a cavalcioni della vecchia.

A prima vista sembra tutto incredibilmente vero, ma poi quando si capisce il trucco non si può fare a meno di ridere.

Il pescatore è un pulcinella che porta una canna da cui pende una lenza che, ovviamente, non finisce con l’amo ma con una ciambella dolce. Il pulcinella camminando o sostando batte con un bastoncino la canna che a sua volta fa saltellare la ciambella. Frotte di ragazzini gli accorrono intorno tentando di afferrare la ciambella direttamente con la bocca. Non è facile riuscirci perché la ciambella saltella, inoltre l’impresa è resa quasi impossibile per la ressa e gli spintoni che si danno a vicenda. Ogni tanto pulcinella accontenta qualcuno lasciandogli afferrare la ciambella che subito sostituisce.

La spaghettata è un’altra maschera caratteristica che va mangiando spaghetti al sugo per le strade. La stranezza e la comicità consistono nel grosso contenitore degli spaghetti che non è uno di quelli comunemente usati, come zuppiera, scodella, pentolino, ma si tratta di un càntero portato appeso al collo con uno spago legato alle due anse.

La scaletta: giovani mascherati vanno in giro portandosi una scaletta con la quale alzano di tanto in tanto fiori o dolciumi alle persone amiche o simpatiche affacciate a finestre e balconi’.

Zeza

L’ultima domenica di Carnevale e il martedì sono i giorni in cui entra in scena Zeza , un vero e proprio spettacolo cantato e rappresentato da gruppi che si esibiscono nelle case e nei vicoli, tra amici e conoscenti.

La trama riguarda gli amori contrastati di Vincenzella e don Nicola, studente calabro. Chi si oppone, minacciando rappresaglie, è Pulcinella, padre di lei, mentre la madre Zeza (da Lucrezia) è consenziente.

Pulcinella sorprende lo studente in casa e lo maltratta. Questi scappa ma torna armato:

Arrete arrete vastacione,

t’ho acchiappate dinte ‘a tagliole,

te voglie fà veré chi è zi’ don Nicole.

La carna teje ne facce tutte a saucicce.

Vincenzella intercede per il padre:

Ohi Ni’, se me vuo’ bène

ne me gli ‘accire a tate,

ne’ me fà arrecurdà chesta iurnate.

Don Nicola si calma:

Pe té io gli perdone,

pe té lo lascio andà,

a patte ch ‘isse a mé me t’ha da dà.

Pulcinella è costretto ad acconsentire alle nozze e allora tutti insieme, dopo aver ricordato che:

lere sere stévene aglie uaje

mò stimme aglie cuntiente;

si rivolgono ai presenti:

A tutte sti signure

che ce stanne a sentì

agliu banchette de Zeze hanna venì.

Durante la recita accorrono in molti ad assistere e fanno circolo intorno, ma quando Pulcinella con una cavezza le suona a don Nicola, succede un fuggi fuggi con grida e grosse risate, perché invece di darle a don Nicola molla colpi a chi capita capita. La scena si ripete quando lo studente ritorna armato per prendersi la rivincita e si invertono le parti.

Seguono altri canti riguardanti i mesi dell’ anno, gli avvertimenti a un giovane che vuole prendere moglie, i difetti della donna.

Improvvisamente grida strazianti annunciano la morte di Carnevale. Allora si fa innanzi il notaio con un cartello sul petto che porta la scritta “Notaio pubblico” accompagnato dalla moglie, stranamente mascherata come il marito. Il notaio legge il testamento di Carnevale e ogni tanto soffia forte su un rozzo quadernaccio imbottito di cenere, cercando di mandarla negli occhi di qualcuno venutogli a tiro.

A cura di: ASSOCIAZIONE CULTURALE LE TRADIZIONI – Gaeta

Fonte: PROF. NICOLA MAGLIOCCA

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